Nuovi meccanismi di difesa. Creare il disagio nell’altro.

Il mobber e lo stalker (che poi possono essere anche “la”) sembrano avere un qualche rapporto di parentela. Quantomeno obbediscono al precetto di creare il disagio nell’altro (che poi siano convinti/e di fare al suddetto altro solo del bene è tutt’altra storia).
Anche se sarà oggetto di altra trattazione fin d’ora val ricordare che mentre lo stalker generalmente ama il rapporto uno a uno (uno/a solo/a distubatore/trice vs una sola vittima), il mobber riesce anche a lavorare “in rete” delegando altri alla creazione del disagio in qualcuno, ottenendo il risultato della creazione di mobbing oggettivo, dove è chiara la vittima, è chiaro il generatore di disagio, meno chiaro risulta il mandante. Un tipico esempio è quando in un gruppo di lavoro il mobber squalifica il suo pari agli occhi di un subalterno, sottintendendo (alla faccia della deontologia) che il riferimento professionale è il subalterno e non il pari.
I disagiati sono sempre coscienti e sempre seccati da tale tipo di attenzione. Gli esercenti il disagio meno. Molto meno. Quasi mai ammettono di praticare la nobile arte del rompicoglioni, quasi sempre si sentono pedagoghi, benefattori, filantropi e quant’altro.
Mobber e stalker all’unisono diranno sempre e comunque che quella che “gli altri” chiamano vittima altri non è che l’oggetto delle loro migliori, benemerite e commendevoli attenzioni (peraltro, già detto, ne sono davvero convinti).
“Creare il disagio nell’altro” è dunque un’espressione che ricorre sempre più spesso nel gergo dei terapeuti che lo osservano sempre più frequentemente sì da inserirlo tra le nuove forme di nevrosi e/o meccanismi di difesa, e dal versante opposto, tra le nuove cause di disagio subìto.
Sarà bene tenerne conto.
A riprova, ad esempio, specularmente, e usando la medesima espressione “Creare il disagio nell’altro” al positivo, ovvero nel mettere l’altro a proprio agio, Pesci fa notare come “In una relazione interpersonale che comporta un rapporto bilaterale, instaurata una condizione simpatetica di scambio e di accettazione è possibile portare avanti il rilevamento anamnestico assumendo un gran numero di informazioni ben precise, senza creare disagio nell’altro” (G. Pesci, La Diagnosi pedagogica: il metodo dell’insegnante per conoscere l’allievo, Armando Editore, 2008, p. 46).
[continua]