Addensamenti e rarefazioni, accelerazioni e rallentamenti ed altre antitesi

Addensamenti e rarefazioni, accelerazioni e rallentamenti, colore e non colore, a fuoco e sbiadito, prossimità e distanza, bianco/chiaro  e nero/scuro ed altre numerose, infinite antitesi. Concetto semplice e complesso ad un tempo applicabile a elementi concreti, si pensi ai disegni, alla figurazione in generale, alla fotografia, si pensi alla scrittura, si pensi, e qui la cosa si complica, alle attività straordinarie della della mente.

Opposizioni che talora raccolgono in al loro interno anche una coesistente complementarietà. Vengono in mente le textures, la loro descrizione reperibile in quello straordinario testo di Bruno Munari che è “Design e comunicazione visiva”. Un libro di grafica e design, sì, ma anche molto di più, un libro in grado, attraverso le splendide immagini e attraverso i testi esplicativi,  di stimolare la curiosità e conseguentemente la creatività (si ripropone il concetto di “starting point”). Varrebbe lea pena di parlarne di questo libro, e ne parlerò di sicuro, forse qui forse altrove. Devo ringraziare Fulvio che tanti, ma proprio tanti. anni fa me lo fece conoscere.

Passando  per una certa strada, per un certo quartiere, per un certo luogo, possiamo avvertire particolari atmosfere, atmosfere rarefatte o anche atmosfere addensate o meglio dense di qualcosa; in questo caso dense del proprio vissuto, ma anche di accadimenti non necessariamente personali, non necessariamente lontani nel tempo, ma neanche necessariamente recenti. Si può parlare forse di sensazioni perché in definitiva sensazioni sono. Sono le proprie che spesso non sono poi così dissimili a quelle altrui di cui si è avuto occasione di raccogliere testimonianza.

Strada facendo magari incontri la tua vecchia scuola e calcoli mentalmente quanti anni son passati, poi individui la casa di qualche tuo amico, un negozio che ha cambiato gestore e tipo di genere commerciale, quel bar che frequentavi con i tuoi compagni di classe. Sono edifici, sì, ma sono anche simboli, pezzi di storia a cui puoi legare anche ricordi di fatti e di persone  che per la cronaca no poi magari piove, lasci l’atmosfera della strada con tutto il suo reale e il suo immaginario per altra atmosfera, quella della tranvia. E si avviano altri pensieri, altri ricordi…

Il tema della strada non è nuovo e non mi è nuovo. Ricordo di aver scritto a proposito di una mostra di Romano Tronconi, mostra in cui la strada era soggetto rappresentato in diverse tele: ) [… nei quadri di Romano Tronconi la strada è protagonista. Più larga o più stretta, qualche volta asfaltata, qualche volta no. Strade che attraversano o circondano e che raramente mostrano il loro inizio o il loro termine. Romano sembra rammentarci che la strada ha aspetti assai diversi: quando si parte, quando si arriva, quando si torna…]

Continua…

…e infatti continua (a distanza di un paio di giorni e dopo una lunga telefonata con Graziano ricca di ricordi liceali e altre memorie storiche). Riprendo

Dettaglio della nota precedente e forse nuovo dettaglio ripercorrendo la stessa strada di cui sopra. Beh si parte dagli addensamenti e dalle rarefazioni che si va a finire chissà dove. Ma probabilmente è giusto così e comunque un inno all’immaginazione. E poi se queste cose nel non le fai nel tuo blog dove dovresti e potresti mai farli? Come diceva l’amico Bruno la frase può essere anche invertita (questa frase di Bruno andrebbe contestualizzata per esser compresa, ma lo faccio successivamente altrimenti perdo il filo che peraltro si sta già perdendo da solo!). Per inciso, o meglio per associazione,  mi viene in mente un interessante articolo di Antonelli dal significativo titolo “Lasciatemi parlare, sono un e-taliano”  non dedicato ai blog, ma più in generale allo sviluppo ed evoluzione della comunicazione scritta con il progressivo sviluppo degli strumenti informatici.

Abbiamo visto il potere evocativo delle abitazioni; edifici che evocano antichi ricordi di trovarsi in tre o quattro per fare i compiti a casa, altre volte per delle  festicciole, ancora per visite di cortesia a congiunti o conoscenti. Poi ci sono degli edifici che ti trovi familiari e lì per lì  non ti rendi conto perché, ma se ci pensi se ti soffermi un attimo ti dai una spiegazione più che plausibile: sono edifici probabilmente edificati dallo stesso costruttore edile che probabilmente aveva un architetto o un geometra di riferimento e quindi le facciate finivano in qualche modo per assomigliarsi. Ne è un esempio la casa dei miei genitori in via Don Lorenzo Perosi, con la facciata tappezzata da mattonelline verdi e terrazze dal disegno assai particolare. Infatti ho ritrovato in altri edifici in via Ponte alle Mosse e in viale Cialdini, scoprendo, o meglio avendo avuto conferma che si trattava effettivamente  dello stesso costruttore e dello stesso progettista.

Ci sono poi le targhe dei nomi delle vie. A volte si leggono nomi dei quali proprio non avresti saputo cosa significavano se non avessero pubblicato a cura di storici e cultori della vita fiorentina apposite pubblicazioni con elenco di strade, piazze, viali e quant’altro accompagnate appunto dalla spiegazione.

Più di una volta mi è venuto in mente che sarebbe poi utile che ogni via sotto alla targal dove è impresso fosse apposta una seconda targhetta esplicativa. Cosa che non sarebbe necessaria per  “Roma”,  “Garibaldi”,  “Dante Alighieri” altre intitolazioni celebri, ma  che sarebbe invece molto utile per vie che portano nomi di cose e tutto sommato abbastanza sconosciute.

E allora continuiamo a divagare che poi divagare non è, ma è in qualche modo espandere. Ricordiamo il vecchio “allargate l’aria della vostra coscienza” di Allen Ginsberg, ma forse è un accostamento un po’ eccessivo. In termini più semplici, ma fino ad un certo punto potremmo parlare di archetipi della vita di tutti i giorni. Forse.

Il passare per una strada richiama anche l’espressione “quella volta”, ma con un gioco di parole ne parlerò “la prossima volta”

continua…

Continuazione articolo; vengono in mente  Manzoni Marconi & compagni. Così non si capisce, ovviamente! Ovvero viene descritto un metodo di allenamento, efficace o meno, che sia validato o meno, ma che all’epoca dei fatti pareva avere una sua valenza! Si parla di calcio e degli anni ’60. Vediamo. Non ricordo il cognome preciso di un ragazzo che giocava al calci, uno di quelli che quando “si fanno le scelte” tutti lo vogliono perché segna tanti gol.  Ricordo di lui però che aveva un un cognome famoso. Ricordo che aveva un metodo. Un metodo che nulla aveva a che fare con i cognomi, avere un metodo applicato a tutta altra cosa, al calcio, il calcio inteso non come elemento chimico ma come attività sportiva. Ebbene il nostro si allenava al muro, calciando il pallone contro il muro, a diversa distanza, con diverse forza, a diverse altezze, usando alternativamente la pianta, la punta, il collo del piede, la testa. Va detto che a quell’epoca, avevo poco più di 15 anni, militavo In una squadra del Senese e con questa squadra ho fatto anche un campionato, la coppa USAC. Tornando al nostro amico e al suo metodo di allenamento, se effettivamente c’era un rapporto di causa effetto tra il muro e la resa sportiva, ma sta di fatto che effettivamente i risultati erano presenti e tangibili. Il nostro infatti era un abilissimo dribbling,  “scartava” facilmente gli avversari con notevole  abilità. A chi gli chiedeva come mai potesse essere così bravo rispondeva appunto chi era importante allenarsi al muro che poi il resto veniva da sè.

Corsi e ricorsi e Portici. I corsi e ricorsi non sono quelli vichiani, sono molto più modesti sono, come si direbbe in qualche commedia leggera “corsi e ricorsi di noaltri“. I portici non sono quelli blasonati di Piazza della Repubblica né tantomeno quelli maestosi di Bologna; sono portici della periferia nord fiorentina.

Per la verità, sempre a Firenze, mi vengono in mente anche altri portici, un po’ più semicentrali che sono quelli in prossimità dell’ospedale Meyer quando all’ospedale Meyer era alle cure. Ma questa è un’altra storia (e magari ne riparlerò). Tornando ai portici di periferia, la periferia nord di Firenze, sono portici nati verso gli anni ’60 in tempi di crescente urbanizzazione e oggi arricchiti dalla presenza della tranvia. Ma io li ricordo quando la tranvia era ben al di là da venire. Ci sono una serie di negozi e di uffici alternati a portoni di ingresso dei palazzi. Negli anni li ho frequentati a vario titolo, ci ho anche lavorato quando esisteva un istituto di analisi dove ho fatto per un po’ i prelievi come si confaceva a qualsiasi buon neolaureato. E ci sono dicevo  vari negozi e vari uffici che di tanto in tanto voluto modo di frequentare, primo fra tutti, ovviamente l’ufficio postale dove in epoca “ante-numerino” era una battaglia del “c’ero prima io – no c’ero prima io!” . Ma quello che mi è venuto in mente stamani vedendo un ristorante sotto i portici che li neanche poi da moltissimi anni; non so, o meglio non ricordo cosa ci fosse prima, e neanche prima ancora. Ma prima, prima, prima c’era un locale un po’ rosticceria e un po’ tavola calda con un banco laterale e sgabelli alti. Ci andavo a magiare qualcosa quando i miei erano fuori per lavoro. Corsi e ricorsi!

Letture e testi citati

Antonelli Giuseppe: Lasciatemi parlare, sono un e-taliano La Lettura 22 Novembre 2015

Della Lena R.: Nota su Romano Tronconi. Etruria Medica, Supplemento Arte & Cultura al n.1/1993 (ripubblicata anche in Informa Quartiere 5, n. 6 2002, pag. 10

Ginsberg A.: Jukebox all’idrogeno. Il messaggio è: allargate l’area della coscienza, Mondadori, 1971

Munari B.: Design e comunicazione visiva, Laterza, 1970, Bari.

 

Cambio di titolo per un appunto volante

Avevo buttato giù qualche riga su un argomento da sviluppare in seguito. Avrebbero dovuto, quelle righe, trovarsi qui. Quelle righe, a suo tempo scritte di getto come spesso succede e come spesso mi succede, sono rimaste per tanto tempo e visto che mai sono state corrette, né mai altro testo è stato aggiunto, evidentemente era destino che rimanessero  quello che erano, cioè poca cosa. L’argomento non è stato quindi sviluppato (e difficilmente lo sarà). Pensandoci bene poca cosa era anche il tema trattato (però potrebbero essere oggetto di un futuro articolo; come diceva qualcuno “ci si potrebbe fare un ragionamento”). Allora meglio così. Forse.

Al posto del mancato svolgimento a suo tempo previsto, queste poche righe. Siamo reduci da una relativamente tranquilla estate seguita a un tutt’altro che tranquillo inverno e a una tutt’altro che tranquilla primavera. Un periodo che mai avremmo immaginato fatto di piazze vuote, di gente in terrazza, di file davanti ai negozi, di tragici bollettini quotidiana, che se vogliamo chiamarli con il proprio nome erano autentici bollettini di guerra. Perché di guerra si é trattato, contro un nemico invisibile e micidiale. Siamo dunque reduci da un periodo oramai abbastanza lungo e duraturo, che ci ha messo alla prova con qualcosa di tremendo, inaspettato, e, almeno fino allora, praticamente sconosciuto. Un periodo che ha provocato disagi dolore in tante, troppe famiglie. Un periodo che ha fatto registrare irreparabili perdite  di vite umane, troppe, a cui va ad aggiungersi una enorme crisi nel mondo del lavoro e sull’economia tutta. Un periodo in cui abbiamo avuto modo anche di ricordare, di leggere, di pensare, di riflettere. Un film di memorie personali e collettive, di passati tragici avvenimenti, di presenti momenti in ogni parti d’Italia e del globo, ci è passato davanti quotidianamente, e continua a passarci ancora davanti. Un film fatto da immagini del nostro quotidiano, dei nostri ricordi, ma anche di immagini della TV e della rete, montate e rielaborate; per la migliore regia: quella della nostra mente.

Allora, dato che siamo a Dicembre, alla fine di questo 2020, a costo di dire qualcosa di scontato, speriamo che le vicende che hanno visto un grigio, un grigio fortemente tendente al nero, possano evolvere in vicende di miglior colore. Semplicemente.

[Continua]

 

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