Poesie di Paolo Ceretelli in attesa di presentazione

Con piacere ospito alcune poesie del carissimo collega e carissimo Paolo Ceretelli. Fanno parte di una raccolta che verrà presto pubblicata e presentata al Gruppo Donatello. In pratica è un’anteprima.

Paolo è alla seconda esperienza avendo già pubblicato nel 2010 un’altra raccolta di poesie intitolata Magri gatti“.

Ecco le poesie di Paolo Ceretelli:

ARMONIA

Armonia del pianoforte di oscuri accordi la magia sento vibrar

stasera la notte lacerata anima della fiamma

il desiderio si  estingue di un assolato sole la mia sete di desolati giorni

accolgo la follia

STRAGE DI STELLE

Strage di stelle ingarbugliati eventi, luci lontane, opprimenti sirene

Spente speranze si tinge di rosso la strada del bianco

La resa si spera

MUGNONE

Mugnone si accendono i grilli nel torrente i tuoi occhi,

non mi lascia da solo intorno la quiete, curiosa e’ la sera

e’ tempesta sul cuore, cascate di stelle stanotte di rane

il torrente respira…..

accartocciato sto’ accanto al tuo ricordo.

LUNA PARK

Luna park la notte inghiotte della vita giostre festanti di colori…..

c’e’ musica intorno

smascherata allegria,

sgangherata una danza di gioia e di umana follia

PRATO

(Poesia di Paolo Ceretelli contenuta del libro di Carlo Morganti Carlo: Dalle peripezie belliche di ragazzo alle imprudenze di oltre cortina.  TAF, Firenze, 2022 a pag. 167)

Prato ti sorprende, beffarda, vestita di stracci e di sfrontata allegria,

arguti e dissacranti i suoi occhi disarcionati arcieri di follia.

Prato, schietta di gente incline al sorriso,

dell’imperatore il castello ti ruba un po’ la vita

nell’inferno di rumorose macchine vive del “mostro” la paura, del Bisenzio la carezza,

tra stralunati tramonti, s’adagia alla sera, invadente, irruenta, simpatica, fanfarona.

Volti scarni, insolenti, insolentiscono la vita dando a Dio del tu…


AMO CHI

AMO CHI NON TREMA MA OSA CHI FA’ DI OGNI GIORNO UN GIORNO DI LOTTA

E CORAGGIO DI CHI SENZA PAURA SFIDA I MULINI A VENTO DELLA VITAE LA

GUARDA CON EUFORICO STUPORE DI CHI SA EMOZIONARSI

ANCORA DI UN ROSSO DI UN TRAMONTO…..

ADESSO CHE ARIDO E’ ILPENSIERO

BELLO E’ LASCIARSI ANDARE

SENZA UNA ROTTA AMICA ROTTA DI UNA CONOSCENZA IL MARE

AMO CHI ANCORA HA L’INCOSCIENZA DI OSARE


Lasciamoci andare all’amore

Lasciamoci andare all’amore 

sciogliendo le vele senza più’ ostacoli navigare salpiamo sospinti

da un vento amico 

Lasciamoci andare all’amore 

che non è mai tardi per risvegliare coscienze assopite, vagabondando rotte

sconosciute 

senza più’ paura di annegare agognando la riva, della terra il profilo di un

cuore che batte al ritmo del mare 

Lasciamoci andare all’amore 

dove il mondo è meraviglia perché’ niente è più che vivere di sole perché’

non siamo niente e in quel niente siamo solo piccola esistenza che senza ali

vola 

Lasciamoci andare all’amore 

perché’ si intraveda del viandante stanco il cammino e sia per lui

 ristoro la vendemmia 

Lasciamoci andare all’amore 

di chi di noi prima che fossimo vita e fragili finalmente umili riposare

Storie di Etruria


Storie di Etruria 

Dal momento che è stato pubblicato sul blog,questo articolo può essere letto ovviamente da chiunque, e ogni lettore sarà il benvenuto. Tuttavia mi rendo conto che può essere fruibile probabilmente solo da chi conosce almeno un po’ la storia che gli sta dietro, la storia di un libro che primo poi verrà pubblicato, e di cui il presente potrebbe essere benissimo un paragrafo. 

Solo ai potenziali lettori amici che ritengo di appartenere a tale categoria lo sottopongo. A tutti comunque auguro buona lettura e nell’occasione buon Ferragosto.

Nota preliminare. Questo breve appunto è il riassunto di un ben più esteso testo destinato a essere pubblicato (possibile titolo “Chissà se era lui davvero” o forse “Stranieri in terra di Etruria” o forse altro)

Si consiglia di leggere prima il racconto Stranieri in terra d’Etruria http://robertodellalena.altervista.org/stranieri-in-terra-detruria-racconto/

Abbiamo avuto già modo di entrare in contatto con atmosfere di mistero e di magia. La magia a cui si accenna non è nè quella delle leggendaria  favole e nemmeno quella mostrata dai prestigiatori ma quella, per usare un’espressione  non particolarmrnte colorita ma  comunque efficace, quella di “magia nel senso più ampio del termine”… che forse vuol dire tutto o forse niente, ma diciamola così e non ne parliamo più. 

Dove eravamo rimasti? Abbiamo visto  il Nostro lontano dal paese natio, e lo abbiamo visto ritornare.  Abbastanza frequenti suoi ritorni, o per esser più precisi, ritorni frequenti all’inizio poi meno frequenti in una fase intermedia,  poi  nuovamente più frequenti in una fase ancora successiva, fase quest’ultima coincidente con l’età matura.. Tali ritorni paiono seguire quella sorta di legge non scritta ma già incontrata, ovvero quella dello straordinario potere alchemico del ritorno.

Il Nostro durante i suoi ritorni amava recarsi nella famosa “Piazza in salita”, o se  si preferisce “in discesa“, e mettersi a pensare sotto il monumento. Ma pensare non è forse la parola più giusta. Il Nostro sembrava infatti piuttosto ascoltare, qualcosa che giungeva da quel luogo come qualcosa di magico.

Il Nostro godeva di molta stima e fiducia da parte di molti paesani, sia quelli “paesani nati e paesani rimasti”, sia quelli come lui venuti via dal paese per poi ritornarci. Anche qui subentra ancora una volta lo straordinario potere alchemico del ritorno. 

Sempre in quella piazza in salita o discesa che dir si voglia aveva nel tempo avuto modo di dispensare consigli, raccogliere molte confidenze, spesso anche segreti rivelati a lui e basta;  segreti che chi glieli confidava non aveva condiviso neppure con i propri familiari. La cosa curiosa è che diversi di questi segreti, seppure erano tali, non erano né così terribili né così inconfessabili, ma erano così considerati  da chi li deteneva e riteneva di doverli rivelare soltanto a persone di grandissima fiducia, e quindi al Nostro. E’ un mistero? Forse. Difficile dire se sia magia, ma sicuramente ha qualcosa di misterioso.

Su ritorni e riconoscimenti sarebbe ancora da dire. Un ricordo che spesso riaffiorava al nostro era quello di quando molti anni prima ripassò del paese, ma senza fermarsi, soltanto chiedendo un’informazione a tre paesani. Apparentemente loro non lo riconobbero, lui invece li riconobbe molto bene, ma vedendo che loro proprio non lo riconoscevano stette al gioco e ricevuta dell’informazione proseguì. A fronte di questo un ricordo speculare ovvero quello di essere stavolta proprio il Nostro oggetto di riconoscimento in “terra straniera“ da un paesano presente o forse di passaggio nella città dove il Nostro viveva. Detta così non fa molto effetto forse ma vedere questa alternanza di fili interrotti talora non riusciti pur facilmente riconoscibili altre volte insperatamente ricuciti. Ma così si è.

L’eterno gioco delle parti.

Altre volte al Nostro, sempre nelle sue abituali soste attorno al monumento, si presentavano ricordi molto più fugaci, molto più istantanei, che forse neanche sempre erano ricordi, sempre comunque erano immagini. Immagini abbiamo visto non sempre riconducibili un ricordo ma che anche quando non erano riconducibili ad un ricordo parevano in qualche modo avere un qualche senso un qualche significato. Erano queste immagini che spesso permettevano al Nostro di cogliere spunto per un un ragionamento, altre volte di arrivare a una conclusione, altre volte ancora di raccogliere un suggerimento tra le architetture del pensiero.

Una di queste volte in particolare tra le immagini di un ricordo e quelle di un altro ricordo comparve un’immagine, un’immagine almeno apparentemente, non legata a un ricordo, immagine che però suggeriva qualche cosa che era stato inutilmente rincorso col pensiero per giorni e giorni. 

Nel frattempo sentì una musica, – questa reale non immaginata! – proveniva da una radio accesa all’interno di casa. Erano le inconfondibili note di “Un americano a Parigi”. Ancora un’immagine e stavolta era proprio un ricordo era l’immagine dell’anziano di tanti anni prima. Il Nostro sorrise e disse grazie.

Era una prova: e così il viaggio continuava. 

(Ovviamente continua)

IL POETA DI SARTEANO CHE SCRISSE RECITE PER I SOLDATI DELLA III ARMATA. Pubblicato su “Storia & Storie di Toscana”

Con piacere presento un altro mio contributo su Gualtiero Sbardelli, che va ad aggiungersi ad altri articoli, alcuni presenti anche su questo blog. Il traguardo finale sarà la pubblicazione di un libro interamente dedicato a Sbardelli, a cui syo lavorando da tempo. E’ motivo di soddisfazione veder pubblicato questo contributo su “Storia e Storie di Toscana” il cui testo ripropongo qui con lievissime modifiche.

Ringraziamenti. Sono molto grato al prof. Ugo Barlozzetti che di “Storia e Storie”di Toscana è consulente storico e che ha proposto il mio pezzo per pubblicazione, sono grato al Direttore della rivista dottor Pierandrea Vanni, per avermi ospitato in una testata così importante, sono gratoalla Segretaria di Redazione dottoressa Aurora Castellani per la sua competenza e per la sua disponibilità.

Ed ecco l’articolo.

IL POETA DI SARTEANO CHE SCRISSE RECITE PER I SOLDATI DELLA III ARMATA. Gualtiero Sbardelli fu una figura multiforme che da un piccolo paese del senese si fece conoscere per la riscoperta delle tradizioni popolari

Lungi da proporsi come biografia esaustiva di Gualtiero Sbardelli, questo scritto è da considerare piuttosto un punto di partenza; per quanto è possibile ricordare e ricostruire la sua figura e la sua opera attraverso i testi disponibili e la corrispondenza da lui tenuta con alcuni miei familiari, in particolare con mia nonna Irma Illuminati Della Lena (1892- 1979), che di Gualtiero era cugina.

Gualtiero Sbardelli nacque a Sarteano da Alessandro e Maria Frontini il 24 Giugno 1884. Ha scritto poesie, commedie, monologhi, canzoni; è stato attore e direttore di scuole di teatro, redattore di varie testate giornalistiche. Rimasto orfano in tenera età fu ospitato presso l’Istituto romano “Tata Giovanni”, cui rimarrà per sempre affezionato e riconoscente. Nel 1902, al compimento del diciottesimo anno, uscì dall’Istituto e iniziò l’attività di compositore tipografo appreso in collegio. È anche il tempo delle primissime poesie. Sono infatti del 1911 sue opere incluse nella raccolta di poesie “Voci di Roma”, insieme a quelle di Augusto Canini, Giuseppe Micheli. Del 1916 è “Diecimila corone p’ave’ la prima bandiera italiana”, composizione patriottica successivamente pubblicata nella raccolta “Sorrisi e lacrime.

Poesie romanesche e italiane”. Il 1° settembre 1917, scrisse la poesia “Il teatro in zona di guerra” che raccontava di un programma di recite eseguite dai soldati della III Armata. Il 6 febbraio 1918, altra poesia, sempre dedicata al comandante “Al mio tenente Focar”, successivamente pubblicata nella stessa raccolta uscita nel 1923 con prefazione di Gigi Pizzirani.

Il 23 giugno 1924 il giornale “Il Sereno” all’interno dell’articolo “La notte di San Giovanni”, cita la canzone “Er regalo alla fidanzata” parole di Gualtiero Sbardelli e musica di Roberto Macchini, premiata con medaglia d’argento. Il quotidiano “Il Piccolo” del 24-25 Giugno 1924 nell’articolo “La vena poetica del popolo alla classica festa di S. Giovanni” cita Gualtiero Sbardelli tra i poeti distintisi. Il 10 Novembre 1924, durante il primo convegno degli ex-alunni dell’Istituto Tata Giovanni presso la trattoria “Sora Amalia”, Gualtiero Sbardelli declamò la poesia “Ricordi de Tata Giovanni” poi pubblicata nel 1930 nella raccolta “Core de “Callarelli”. Nel 1925 scrisse i versi della canzone “La mejo canzonetta” con musica del Maestro Augusto Canini e “La nostra Sede”, in versi “Martelliani”, dedicata all’Istituto che lo aveva accolto. Nel 1926 Ceccarius (Giuseppe Ceccarelli, giornalista e studioso della cultura e delle tradizioni popolari romane, 1889 – 1972) crea per Gualtiero Sbardelli l’appellativo di “Poeta dei callarelli”, nome con cui venivano chiamati gli ospiti dell’istituto perché il fondatore Giovanni Borgi, preparava il pranzo in un enorme “callaro” (un paiolo) attorno a cui i ragazzi si sedevano e consumavano il pasto. Lui veniva chiamato dai ragazzi “Tata”, che in romanesco sta per papà, padre, babbo. Fu così che nacque il nome dell’istituto “Tata Giovanni”.

Nel 1930 pubblica il volume di poesie “Core de Callarelli” sempre con prefazione di Giuseppe Colecchi.

Nel 1932 pubblica “La Sora Lalla ha fatto bucia”. Brillantissima Commedia romanesca in due atti”. Vivace vicenda degli equivoci, ricca di esilaranti battute, ambientata in una casa borghese degli anni ’30, ebbe notevole successo e fu rappresentata più volte a Roma e a Sarteano. In occasione di una delle tante repliche Gualtiero Sbardelli scrisse unna simpaticissima poesia in quindici strofe dedicata agli attori parafrasando la Divina Commedia. La poesia inizia “Nel mezzo del cammin di nostra vita / ci ritrovammo a cena qui a Sarteano / dove una compagnia era riunita / col piatto pieno e la forchetta in mano/ …” e termina “… fummo lieti tra amici tra pulzelle / e poi tornammo… a riveder le stelle”. Non fu né l’unica volta, né l’unico testo autorevole “dissacrato” da Sbardelli.

Il 3 settembre 1933, scrisse un sonetto per “La ripresa della Giostra del Saracino a Sarteano”, luogo cui rimase sempre fortemente legato, così come all’Istituto Tata Giovanni per cui ha scritto numerose altre poesie. Negli anni si fortifica anche la sua passione per il teatro. Nel 1945 recita in ben tre pièce diverse. Il 2 settembre ne “I due sergenti” di Aubigny. Dalla locandina si evince che è il direttore della scuola di recitazione “Ars e Labor” in Sarteano, interpreta il Maresciallo Conte d’Altavilla e inoltre è il truccatore dello spettacolo. Il 14 ottobre mette in scena, sempre a Sarteano, “Perdono e oblio” di S. Fraschetti”. È attore e interpreta Riccardo di Lovetti Duca di Milano. Nella stessa giornata segue un secondo spettacolo, la commedia “Fatemi la corte”; anche in quest’occasione è truccatore attore e interpreta il Barone de Angeli. Infine, il 2 dicembre recita in “Ordinanza” di Alfredo Testoni. È ancora truccatore e primo attore, e interpreta il Cav. Ottavio Mazzone Colonnello dell’Esercito.

Il 27 ottobre 1946 “Lo Strillo”, rivista settimanale di vita sarteanese, pubblica la poesia di Gualtiero Sbardelli “Alla campana di Sarteano, perita in guerra”: “…Vecchia e bella campana di Sarteano/ fusa col bronzo puro e rame e argento,/ purtroppo il richiamo oggi mi è vano;/ peristi senza alloro né cimento./ Campana bella, il suono tuo squisito/ infondeva un orgoglio e una virtù./ Tu ci segnavi il tempo che passava/ e ci dicevi l’ora da lontano./ Il viandante che pur si allontanava/ la voce avea da lungi di Sarteano./ E ti sentiva ognuno dal Poggione,/ Solaia, Baccaciano e Cappuccini,/ nei casolari in giù fino all’Astrone … Per via/ quando la sento, in me si ripercuote/ e mi riempie il cor di nostalgia!

Gualtiero Sbardelli scompare dopo breve malattia il 10 Febbraio 1949.

Bibliografia visibile qui http://robertodellalena.altervista.org/bibliografia-su-gualtiero-sbardelli/

Riferimento Bibliografico. Roberto Della Lena: IL POETA DI SARTEANO CHE SCRISSE RECITE PER I SOLDATI DELLA III ARMATA. Storia & storie di Toscana, MAGGIO-AGOSTO 2022,  pag. 30. Di seguito le pagine di “Storia & storie di Toscana” in formato ridotto