Appunto su “L’invisibile colore del silenzio”, un libro Gianni Oliveti

L’invisibile colore del silenzio di Gianni Oliveti.
Non è un caso, forse, che nel 2011, in quel delle Giubbe Rosse, le tele di Gianni Oliveti abbiano fatto il paio con le pagine del libro in oggetto.

Non è forse un caso neppure che chi ha familiarità con le arti figurative, chi dipinge (ma in questo caso anche disegna e scolpisce), sia attratto anche dalla scrittura (William Blake docet, per non parlare del Red Book di Carl Gustav Jung).
In fondo si può immaginare, descrivere, tratteggiare, rappresentare e/o raccontare in vari modi, con vari strumenti, con vari linguaggi. Gianni ne è un esempio.
Il libro è una sorta di – mi si perdoni la metafora – “mostra personale” di racconti: cinque racchiusi in una pentalogia e uno “in libertà” ovvero:
“II grande pesce”, “II trattato”, “Il mago della luce”, “Il mercante ambizioso”, “At Sitra”, che tutti insieme vanno a comporre la pentalogia di Yerbal; a questi va ad aggiungersi il “solitario” racconto “Il mistero di Funfulus. Non è un caso, neanche stavolta, forse, che le due sezioni siano separate da un intermezzo dove sono riprodotte cinque tavole dell’Artista.

Dalle prime pagine introduttive, nel senso più pobile del termine, si chiama il fruitore ad una partecipazione attiva che pare andare oltre la semplice lettura, fino ad una sorta di tentazione costruttivista (“…affinchè ognuno possa aggiungervi qualcosa di sè, libero di trasformarla o di immaginarla secondo la propria angolazione culturale…”) e in qualche modo di pirandelliana memoria (in ossequio alla scuola di pensiero che al grande Luigi vuole attribuire una antesignana patente di costruttivista).

Chi mai sarà il pesce, o meglio “il grande pesce” che sconvolgendo le leggi della fisica e della catena alimentare irrompe nell’aria a provocare terrore notturno e lutto nella popolazione! Non è tanto importante collocare il pesce all’interno della classificazione tassonomica linneiana, quanto di cogliere la metafora, e anche l’ammonimento, circa le proiezioni e le previsioni degli appartenenti all’umana condizione.

Anche la biologia viene in qualche modo rivisitata con un impossibile (ma qui reso possibile!) viaggio a ritroso dalla nascita al concepimento.

“Il mistero del Funfulus” ci proietta in una problematica, quella della risoluzione di un mistero, di dare un volto a un oscuro personaggio, che poi si scopre essere – senza togliere la suspence al lettore – assai meno misterioso.

In questo tragitto di lettura che si snoda agile lungo le pagine di Gianni si sa di esser sempre nello stesso posto che è Yerbal, meno sicuri invece di attribuire una temporalità, ma forse l’atemporalità è un effetto voluto proprio dall’Autore quasi che ci voglia suggerire una riflessione su eventi sempre avvenuti, presenti più o meno nella nostra quotidianità, e destinati a perpetuarsi e riproporsi. Una sorta di proposta archetipale.

[Continua]