Stranieri in terra d’Etruria (racconto)

Stranieri in terra d’Etruria

(Titolo provvisorio e testo provvisorio! Ma ogni tanto come dice qualcuno che di articoli e filmati se ne intende, “bisogna avere anche un po’ di coraggio e pubblicare, poi si vedrà“)

Nota preliminare. Questo breve appunto è il riassunto di un ben più esteso testo destinato a essere pubblicato (possibile titolo “Chissà se era lui davvero” o forse “Stranieri in terra di Etruria” o forse altro)

Viene qui messa in atto la stessa strategia (ma sarà poi la parola più giusta?) usata in altra occasione, ovvero di anticipare la pubblicazione del testo definitivo con un sunto (che poi si vedrà non é esattamente un sunto). Al contrario di quanto si potrebbe pensare non è affatto cosa semplice, comunque ci provo. Ne vale la pena.

“… È sufficiente che sia stato detto e creduto. La storia del mondo viene fatta in gran parte sulla base di opinioni i cui motivi sono spesso dubbi in senso concreto; in altre parole: nella storia la psiche gioca un ruolo tanto importante quanto misconosciuto.” (CARL GUSTAV JUNG, lettera a Upton Sinclair del 24.11.1952, in Jung Lettere, Vol 2 p 273)

Fin troppe volte, pur nella sua giovane età, egli aveva notato che il caso, andando nella medesima direzione dell’intenzione, era stato capace di mostrare il tragitto migliore per raggiungere una meta prefissata”. Da “Raimondo di Sangro. Il Principe dei veli di pietra”, di Lino Lista [pag.57].

Antefatto. Anni ’50, inizio anni ’50. Inverno. Un’automobile di grossa cilindrata e di grosse dimensioni, una elegante berlina a quattro porte, solca una strada sterrata della Valdorcia, una strada che porta in paese. Marcia a bassa velocità, talora si arresta proprio e gli occupanti guardano la campagna. Pur essendo inverno, la campagna di quel pezzo di Toscana è uno spettacolo. Quando i finestrini si abbassano una musica d’orchestra si libera nell’aria della Valdorcia, sono le note di “Un americano a Parigi” di George Gershwin. Sono poche le auto che passano per quella strada, pochissime quelle belle e per di più con tarfa straniera, pochissime poi anche quelle con l’autoradio.

Quattro giorni più tardi nella piazza di un borgo. Ecco chi era all’interno dell’auto.

Due anziani, stranieri, alti, eleganti, forse di lingua tedesca, forse di nazionalita austriaca, forse svizzera. Chissà? Sono coniugi, lei molto distinta e austera. Anche lui. Parlano un italiano non fluente, ma più che sufficiente per farsi capire.

Lui è incuriosito da un insolita piazza, insolita perché in salita. E’ la piazza principale del paese, ed è la piazza antistante alla casa dove alloggiano da qualche giorno, la osserva attentamente e commenta. Lei ascolta e annuisce. Lui e la moglie son giunti da qualche giorno nel borgo toscano medievale. Li ha colpiti non tanto e non solo la bellezza austera di un antico maniero e di vecchi palazzi nobiliari, ma anche, forse soprattutto, l’elevato numero di stemmi, insegne, lapidi, poste non soltanto nelle facciate dei succitati palazzi nobiliari, ma un po’ in tutto il paese. In qualche modo ciò è loro familiare.

Il distinto straniero ha saputo da un paesano che nel bel mezzo della piazza “in salita”, dove campeggia ora una bella fontana, precedentemente c’era qualcosa altro, che però il paesano non ha saputo meglio precisare. Sa bene invece il paesano che tra poco avverrà ancora un mutamento la fontana verrà spostata e cederà il posto ad un monumento ai caduti.

Il Nostro ripensa al paesano e a quanto gli ha detto. Ma suoi pensieri vanno beno oltre, molto oltre, difficile stabilire e definire di più e meglio anche per il pensante, se non un concetto altre volte sentito o forse letto: “Andare dove, arrivare quando“. Il paesano vede il distinto “forestiero” assorto e immagina che pensi a quanto gli ha detto; si è visto che non è esattamente così. Gli viene in mente la città di Efeso e i suoi mutamenti. Ma al contrario di quanto avvenuto nella piazza ove cambiano io monumenti, a Efeso mutavano i popoli, e mentre i popoli mutavano, il celebre monumento, la statua di Diana, restava sempre, immobile e immutabile.

Pensa ancora. Una girandola di immagini apparentemente insensate si affacciamo alla mente del distinto straniero. Persone attorno al monumento, gruppetti di persone sedure sulle panchine della piazza, probabilmente la stessa piazza. Ancora un colorificio di Genova, un vecchio a sedere su una sedia appoggiata al muro di una strada di paese, veglioni di carnevale, altro ancora, bambini con la erre moscia e con sorprendente memoria.

La padrona di casa, oggi si meglio sarebbe descritta come titolare B&B, nel frattempo scesa in strada gli si avvicina, non senza prima aver salutato e ossequiato al signora, e gli rivolge la parola usando verbi all’infinito, sulla pia illusione che se agli stranieri parli usando gli infiniti, loro ti capiscono. Ma così non é. Con lo stesso linguaggio improbabile ovvero una sorta di ‘”esperanto de noantri” gli chiede se ha apprezzato il paese e la cucina del luogo, poi gli presenta un bambino, e allora ecco che l’anziano straniero; col pensiero va ancora molto lontano; lontano nel tempo, forse. Ma quale tempo?

Immagina, chissà perché, quel bambino proiettato nel futuro e immagina che come lui avrebbe avuto più confronto e successo con maestri autorevoli e severi, e che sarebbe stato molto apprezzato. Si chiede ancora, pensando tra sè, se la girandola di pensieri precedenti siano in qualche modo connessi al luogo e a chi gli sta davanti. Ma non lo palesa naturalmente; peraltro neanche si spiega da dove tal pensiero giungesse.

Allora tira fuori dalla tasca del cappotto una scatola metallica rotonda, la mostra al bimbo , e gliela regala. Il bimbo l’accetta e con un grande sorriso ringrazia.

Tutto pareva girare intorno a quella piazza scoscesa, più precisamente intorno al monumento in mezzo ad essa, fra l’altro monumento pensato pur non ancora non presente! Quindi immaginato (o forse immaginato?).

Il bambino in seguito sviluppò la erre moscia e anche una non comune memoria, crebbe, divenne adulto ed effettivamente ebbe buoni maestri e ottimi amici, per fortuna molti di più dei cattivi maestri e delle sconvenienti conoscenze che pure ebbe.

Poi il bimbo ben prima di raggiungere l’età adulta, lasciò il paese per trasferirsi in città con i genitori. Molte famiglie ebbero simile destino.

Poi divenne adulto, adulto maturo e tornando di tanto in tanto al paese natio incontrava vecchi amici e con loro si fermava a parlare attorno al monumento che nel frattempo aveva rimpiazzato la fontana. E in quei gruppetti attorno al monumento chiacchieravano e, soprattutto rimembravano, si interrogavano anche. Si chiedevano ad esempio chissà come mai molti di loro, e in particolare quelli emigrati e poi tornati al borgo, avessero la erre moscia. Chissà poi perché qualcuno l’avesse persa e qualcuno l’avesse ancora. Si chiedevano ancora come mai sempre alcuni di loro e in particolare ancora una volta coloro che erano emigrati e poi ritornati, avessero una memoria formidabile. Risposte e spiegazioni non c’erano, e anche se accampavano teorie basate sull’aria e sull’acqua potabile del posto, pochi ci credevano.

Durante una di queste discussioni attorno al monumento “l’ex bambino cresciuto nel borgo ed ora ritornato in visita al paese natio”, incuriosito da qualcosa, si staccò dagli altri.

Dalle finestre di una casa di una piazza di un vecchio borgo usciva una musica: erano le note di “Un americano a Parigi” di George Gershwin.

E ad una delle finestre di una casa di una piazza di un vecchio borgo gli parve di vedere affacciarsi un distinto signore anziano con la pipa in bocca e una scatoletta rotonda in mano dalla quale prese un pizzico di tabacco.

L’adulto, ovvero “l’ex bambino cresciuto nel borgo ed ora ritornato in visita al paese natio”, sorrise all’anziano signore. Come per salutarlo, come per ringraziarlo.

Forse.

(Continua)

Riferimenti, note, citazioni e altro

Luchini Alberto: Radicofani, L’Impronta, Scandicci-Firenze, 1970, pag. 18. A proposito di “Piazze in salita”. Nel libro di Alberto Luchini c’è una bellissima disquisizione sulla toponomastica “spontanea” popolare. Il Luchini descrive come i dislivelli in salita presenti a Radicofani siano ribattezzati dagli abitanti. La centrale via del paese diviene così “Il mezzo” e tutta una terminologia da ciò deriva.

Montepiesi. 1999 n. 2. Si fa riferimento a “64 anni, Sarteano ha festeggiato … a mangia’ i pici suppelcorso e ho...”

Montepiesi 2016 n. 1-2-3. Si fa riferimento a “… suppelcorso = lungo Corso Garibaldi…”

In questo sito dedicato ai viaggi si fa riferimento a “suppelacosta”

Gianfranco Barbanera: Aiutare il sole a sorgere ancora. Interprofessionalità. Anno XIII – n. 85 Giugno 2003, pag. 7. Documento on line (visto e letto 17 Settembre 2021)

Ecco di seguito il piano dell’opera così come è stato inizialmente concepito (qui in realtà molto, ma molto semplificato). Il racconto sopra pubblicato ha valore puramente indicativo, e in definitiva non è neppure un riassunto,. Contiene infatti alcune modificazioni della trama rese necessarie per adeguare la narrazione. Piano narativo (estremamente semplificato. 1. Origini e primi segni – 2. Altri segni e primi sogni. La parola all’inconscio (o l’inconscio e la parola) – 3. La rivelazione nel caos della mente e delle città – 4. Continua. Tante pietre in paese, tanti laghi nei dintorni.

2 thoughts on “Stranieri in terra d’Etruria (racconto)

  1. Abbastanza criptico il senso di questo preludio: mi par soltanto di poter trovare un risvolto autobiografico che potrebbe alludere nel signore straniero con la pipa al buon Carlo Gustavo, mentre il bambino sarà un medico di nostra conoscenza che ne accetta l’eredità …
    Non mi è chiara del tutto l’erre moscia: sono forse le radici, il legame con la terra natale che qualcuno mantiene ed altri no?
    Comunque sia, piacevole lettura a due livelli, si aspetta il seguito: “adelante Pedro, con judicio!” .

    • Innanzitutto grazie del commento, in larga parte condivisibile. Come hai ben colto ci sono elementi autobiografici ed altri decisamente immaginari. Quello dell’erre moscia è reale! E’ riferito ad un paese (chissà quale!) dove un significativo numero (almeno così era percepito) di bambini manifestavano “rotacismo” ovvero “erre moscia”. Non fu trovata spiegazione. L’erre moscia restò un mistero, poi nel tempo poi molti la persero…

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