Ho ritrovato un appunto su “Magri Gatti”

Alcuni giorni fa ho ricevuto con piacere la telefonata di un amico che non sentivo da tempo. Si tratta di Paolo, Paolo Ceretelli, con cui ho condiviso gli anni dell’università, e, ancor prima, assieme ad altri amici, le serate in Piazza Fardella. Molto semplificando, in effetti. Molto altro abbiamo condiviso, non ultimo il complessino musicale (qui c’era anche Alessandro Baraldi), la passione per la fotografia, varie gite per l’Italia. Peraltro, so che importerà poco e a pochissimi, ma una Paolo mi accompagnò alla mia natia Sarteano proprio quando vi feci ritorno dopo una lunghissima assenza. Molti sarebbero gli episodi e gli aneddoti, ma come dice il famoso conduttore, questa è un’altra storia.
E adesso, per sottolineare la recente telefonata di cui sopra, voglio proporre un mio breve testo che mi chiese Paolo per la prefazione ad un suo libro di poesie. Il libro si intitolava “Magri Gatti”, l’anno era il 2009, il testo (identico, o con minime differenze rispetto a quello pubblicato) è il seguente:

Alessandro, Paolo e io alla fine degli anni '70

Alessandro, Paolo e io alla fine degli anni ’70

Mi accingo a parlare di Paolo e delle sue Poesie. Accogliendo la graditissima richiesta del caro amico di sempre, lo faccio, con grande piacere, ma anche con qualche timore. Dichiaro preliminarmente di non aver blasone e titoli accademici da giustificare tentazioni ermeneutiche riguardo alle liriche di Paolo, ma trovo il coraggio, e forse anche il dovere, ma sicuramente il piacere di farlo, nel nome di un’amicizia oramai quasi quarantennale, amicizia, e dunque anche conoscenza, che in qualche modo mi autorizza, mi legittima a dir qualcosa dell’Autore e dei suoi versi. Paolo Ceretelli scrive da sempre poesie e da sempre compone in musica. Di solito parole e musica vanno insieme, ma in molti casi, la maggior parte, sia il verbo che il suono potrebbero aver vita propria ed autonoma. Forse quella di Paolo è una sorta di condizione (verrebbe da dire condanna!) a raccontare, a raccontarci, a raccontarsi le vicende del mondo. Il Nostro ha sicuramente una parte assai sensibile, “romantica”, delicata, quella delle liriche che quasi sembran chieder permesso a chi le sta in quel momento leggendo; chi non conosce l’Autore ne rimane incuriosito, attratto, accattivato, chi invece lo conosce ritrova quell’umanità che da sempre lo costraddistingue nel suo operare familiare, amicale, professionale. Ancora, dopo aver scelto un argomento e dato l’incipit, l’Autore rimanda a concetti di valori personali (e condivisi) sopraordinati. Non è facile reperire parole per così dire generatrici, né attribuire preferenze, valori o, tanto meno stabilir gerarchie; piuttosto è invece costantemente presente e fruibile l’aria piacevole e delicata di una stagione di armonia. Ma nei suoi versi spesso sono reperibili dinamiche sociali, sofferenza, ambiente, massimi sistemi, questioni esistenziali. Qui i toni si fanno naturalmente più cupi, talora drammatici, fino a farci scendere un velo di tristezza; ma anche qui è pressoché onnipresente una possibilità di speranza, una soleggiata finestra sul mondo. Semplificando molto, a proposito delle poesie presentate, da alcuni passaggi, da alcuni versi in particolare, attraverso un forte potere evocativo, sorgono, scaturiscono, irrompono, si impongono immagini che, per risultato danno non solo la lettura, ma una più compiuta esperienza umana“.